L aumento della spesa sanitaria a cui
abbiamo assistito impotenti nelle ultime decadi sta portando il
servizio sanitario pubblico sull'orlo del collasso e malgrado l
italia sia un paese in cui sono presenti grandi risorse ed eccellenze
sanitarie, sempre più spesso non siamo in grado di offrire a
cittadini servizi e cure necessari. Carenze e difficoltà (grave
mancanza di personale con blocco del turn-over, mancanza di posti
letto in ospedale, lunghe liste d'attesa per analisi strumentali,
aumento del ticket sanitario, ecc) sono diventate talmente comuni da
non fare neanche più notizia e hanno costretto molte persone a
rivolgersi al percorso sanitario privato. Dunque è necessario e
urgente un cambiamento nella gestione che possa permettere
un'efficace ottimizzazione delle risorse.
Nella nostra società il parto è stato
medicalizzato e sottomesso a una tecnologia, chirurgica e
farmacologica, molto invasiva e con costi umani e sociali
elevatissimi. Con il 38% dei tagli cesarei l'Italia si colloca al 1°
posto in Europa e al 3° posto nel mondo e nella sola Campania il
60,2% delle nascite avviene per via chirurgica.
Stiamo assistendo ad un radicale
cambiamento bio sociale riguardo alla modalità con la quale si
partorisce e si viene al mondo e malgrado i peggiori risultati in
termini di salute per madre e neonato, la corsa alla medicalizzazione
non sembra invertire la sua tendenza. Al contrario, l'aumento dei
tagli cesarei è stato del 350% negli ultimi 30 anni. Questo
cambiamento non riguarda solo un momento determinato, circoscritto,
nella vita di alcune persone, ma “L'evento della nascita inteso
nella complessità culturale, sociale, politica ed economica occupa
una posizione centrale nel modo in cui una società organizza e
concepisce se stessa.
Dunque il tema della nascita riguarda
tutti noi. Ci riguarda una prima volta perché tutti noi siamo nati e
il modo in cui siamo venuti al mondo ha un'influenza sulla nostra
salute fisica e sul nostro approccio alla vita: è stato un parto
facile e stimolante o al contrario difficile, che ha messo a dura
prova la nostra capacità di adattamento post natale? Siamo stati
separati per giorni e giorni da nostra madre o abbiamo potuto
sperimentare un contatto precoce con il suo corpo? Dopo la nascita
siamo stati in un ambiente che permetteva un efficace rilascio di
ossitocina e di endorfine o era al contrario ricco di catecolamine?
Il nostro cervello è plastico e molto adattabile ma l'ambiente
ormonale in cui ci troviamo può privilegiare la connessione di
alcune trasmissioni neuronali rispetto ad altre e, dunque, può
incidere sul nostro carattere. In una parola: epigenetica.
Ci riguarda una seconda volta perché
siamo tutti nati da una donna e il modo in cui ella ha partorito haun'influenza sia su di lei come persona sia sul modo di essere madre,
sulle proiezioni che avrà su di noi, sulle paure, sulla fiducia che
ha e avrà nelle sue capacità. Si è sentita forte e competente nel
momento del parto o, al contrario è stata disconfermata nelle sue
capacità e si è sentita spaventata e fragile? Oppure ha potuto
subito prendersi cura di noi in un ambiente che l'ha sostenuta quando
e se ne aveva bisogno? Con questo non si vuole affermare che il
momento della nascita determini un cambiamento definitivo e radicale
nell'individuo ma si vuole riconoscerlo come momento che, insieme a
tanti altri stimoli (biologici, sociali, culturali e ambientali) ha
un'influenza e un'importanza che troppo spesso è stata sottovalutata
se non del tutto ignorata. Per questi e altri motivi la nascita e il
parto sono eventi che coinvolgono sia i singoli individui che tutta
la collettività ed è significativo che, eccetto rari casi, le
riflessioni e le rivendicazioni provengano esclusivamente da donne.
Ancora oggi purtroppo tendiamo a considerare la nascita e la
maternità temi da e di donne.
Sicuramente il cambiamento più
evidente è rappresentato dal passaggio dalla nascita per via
vaginale a quello per via chirurgica, cambiamento che riguarda quasi
il 40% della popolazione italiana. Quali possono essere le
motivazioni che hanno portato a trasformare in poche decine di anni
un processo che ci appartiene e ci caratterizza , in quanto
mammiferi, da centinaia di migliaia di anni? Spesso si sente dire che
sono le donne stesse che preferiscono la nascita chirurgica,
socialmente percepita come più sicura per la salute di mamma e
bambino.
Altre considerazioni attribuiscono
maggiori responsabilità al medico ginecologo, il quale, per motivi
di lucro (in alcune realtà per il taglio cesareo viene infatti
riconosciuto un compenso economico maggiore) o di “profitto
aziendale”, nonché disorganizzazione del proprio lavoro,
preferirebbe la via chirurgica. Da ultimo, in ordine, ma non in
importanza, secondo l'establishment medico, è l'atteggiamento
difensivo del medico, e quindi il timore di essere accusato di non
aver “fatto abbastanza” per tutelare la salute di mamma e
bambino, rappresentare la principale causa di ricorso al taglio
cesareo.
Ma possiamo in coscienza, sentirci di
scoraggiare medici e donne dalla scelta del parto chirurgico e
sostenere che sia veramente preferibile il parto vaginale, il
cosiddetto parto naturale? Per rispondere a questa domanda dobbiamo
chiederci qual è il percorso che, nella grande maggioranza dei casi,
le donne fanno nei nostri ospedali e centri nascita. In base ai
risultati del Cedap (Certificato di Assistenza al Parto) e a quelli
forniti da altre indagini, sappiamo che le donne sane, con una
gravidanza normale, vengono routinariamente sottoposte a una lunga
lista di pratiche, alcune perfino invasive e dannose, senza che vi
sia nessuna evidenza scientifica a sostegno.
Eccone alcune: clistere
e depilazione all'accettazione in reparto; ago canula dall'inizio del
travaglio; monitoraggi cardiotocografico a permanenza ( che obbliga
la donna a rimanere sdraiata a letto, o al massimo, in piedi senza
possibilità di camminare e muoversi per tutta la durata del
travaglio); scollamento delle membrane attraverso una visita vaginale
dolorosa e spiacevole; impedimento di bere e di mangiare con
conseguente idratazione attraverso soluzione endovenosa; rottura
artificiale delle membrane per accelerare il travaglio. Alle donne
inoltre non viene permesso di scegliere la posizione del parto, così
come raccomandato dall'OMS e dalla Evidence Based Medicine, ma, al
contrario, viene imposta la posizione sdraiata sul lettino da parto
con il monitoraggio attaccato da una parte, la flebo dall'altra e un
operatore corpulento che spinge sulla pancia (manovra di Kristeller)
per velocizzare quella che è diventata a tutti gli effetti non un
parto ma “estrazione del feto”. Per finire, la pratica
dell'episiotomia, un taglio chirurgico della vagina di circa 4 cm
che, sebbene ritenuta utile soltanto in meno del 5%, viene effettuata
nel 70% dei parti circa senza nemmeno chiedere il consenso e
informare la donna.
A questo punto al neonato, a prescindere dalle
condizioni di salute, viene immediatamente reciso il cordone
ombelicale e portato al pediatra per la visita di routine e dunque
separato dalla madre contrariamente a quando l'OMS raccomanda ormai
da più di 30 anni.
Questi sono gli interventi, praticati
spesso senza indicazione medica, a cui rischia di essere sottoposta
la donna sana, con gravidanza normale, senza che venga informata e
senza che le venga chiesto il consenso e dunque negandole di fatto
una scelta. Pratiche invasive, dolorose e alcune anche dannose. Unico
conforto, quando c'è, l'epidurale. Non c'è da stupirsi se molte
donne e molti medici di fronte a questa via crucis considerino
il taglio cesareo un'ottima ed efficace alternativa al parto. Il
taglio cesareo rappresenta dunque il risultato finale di una serie di
eventi di una ipermedicalizzazione, di una patologizzazione della
gravidanza, sulla cui origine è importante indagare.
Ma perché la maggior parte delle donne
accetta, supinamente, questa manipolazione e oltraggio al proprio
corpo? A mio parere, il bisogno di sicurezza della donna per la sua
salute e per quella della persona che nasce e la sua paura nel
confrontarsi con un evento sì naturale ma al tempo stesso nuovo e
sconosciuto, sono state la leva sulla quale far pressione. Noi
operatori sanitari dal canto nostro, non siamo più in grado di
riconoscere competenze che da sempre sono proprie delle donne: un
sapere del corpo che permetteva loro di avere fiducia e di poter
attingere alla propria capacità, a delle risorse interne, che le
consentivano di lasciarsi andare a partorire.
Al contrario,
troppo spesso trattiamo le donne come s(oggetti) passivi incapaci di
comprendere la complessità dell'evento parto. Questo atteggiamento
di sfiducia è stato inconsapevolmente introiettato dalle donne
portandole a delegare ad altri, percepiti come più competenti,
quanto più possibile. Non a caso in molti incontri di
accompagnamento alla nascita viene insegnato come spingere durante la
fase espulsiva e perfino come respirare nelle diverse fasi del
travaglio. È stato messo in atto un processo di dis empowerment,
le donne sono state delegittimate delle loro competenze nell'evento.
Adesso il protagonista della sala parto moderna è il medico, l
operatore sanitario che sa e salva.
Nasce
all'interno di questo processo di delegittimazione una nuova
narrazione della gravidanza e del parto che, ri-definendoli, non
permette più di viverli al di fuori del contesto medico e
ospedaliero.
Questo forse è il punto centrale della
questione perché il modo in cui definiamo la realtà la determina: è
la definizione che crea la realtà e la definizione non può che
avvenire a opera del gruppo maggioritario, dominante, a discapito del
gruppo minoritario, dominato in questo caso rispettivamente medici
(storicamente e tradizionalmente uomini) e donne. La classe media,
definendo la gravidanza a basso o ad alto rischio non bene
qualificabile ha, di fatto, imposto il controllo sulla nascita e sul
corpo della donna.
Anche l'affermazione, ripetuta negli
ultimi 40 anni come un mantra ai convegni e alla formazione
universitaria di medici e ostetriche, che il parto sia fisiologico
solo a posteriori, cioè definibile come parto normale solo dopo che
sia avvenuta la nascita del bambino, ha il potere di trasformare
tutti i travagli, fisiologici o patologici che siano, in una
procedura medica, interferendo così con la libera scelta della donna
di come e dove viverla.
Questa definizione ha importanti
conseguenze anche sugli operatori sanitari, i quali, percependo il
parto come un processo potenzialmente rischioso, sempre soggetto a
imprevisti cui solo un ambiente medico altamente specializzato può
far fronte vivono in uno stato di ansia e di allerta che non permette
nessun riconoscimento della soggettività della persona e si traduce
spesso in interventi non appropriati. L'appello al rispetto della
fisiologia, della libera scelta della donna, della
depatologicizzazione, viene percepito come poco scientifico, una
sorta di ingenua umanizzazione di un percorso che in realtà è pieno
di pericoli e sfugge alla capacità di valutazione delle donne. In
questa cornice concettuale, fare più controlli, esami, ecografie,
non ha un significato medico di prevenzione della salute ma,
piuttosto e soprattutto, quello di placare l'ansia, diventando quasi
un rito che assolve alla funzione di esorcizzare la paura, paura
comune alle donne e ai medici al tempo stesso: se la gravidanza è
comunque sempre a rischio (alto o basso) voglio che venga fatto tutto
il possibile, in una spirale senza fine. Riguardo a questo aspetto
trovo quanto mai calzante l'affermazione della storica Barbara Duden
“La nostra società è la prima che, possedendo delle tecniche, ne
è al tempo stesso posseduta.” con questa affermazione non si vuole
sostenere che che ciò che è naturale sia buono a discapito delle
nuove possibilità offerte dalla tecnologia, a cominciare
dall'epidurale a finire, perché no, al taglio cesareo su richiesta.
Ma si vuole mettere in discussione i pregiudizio che le migliori
condizioni per la salute di mamma e bambino debbano necessariamente
esserci nella sala parto più attrezzata e moderna, con un maggior
numeri di strumenti a disposizione. Gli studi al contrario dimostrano
che il parto è tanto più sicuro quanto risponde ai bisogni della
donna: il luogo più sicuro per partorire è il luogo in cui la
donna si sente più sicura. Dunque il parto a casa, se è il
luogo scelto dalla donna, è sicuro tanto quanto il parto in
ospedale, come ribadito più volte dall'OMS. Bisogna resistere alla
grossolana tentazione di confondere la scienza con la tecnologia, e
dunque considerare come unico approccio veramente scientifico il
luogo dove la tecnologia sia più presente ed efficace. La
demedicalizzazione di gravidanza e parto possono avvenire solo
attraverso una re-definizione istituzionale dell'evento, di tutto il
processo riproduttivo (che inizia con la gravidanza e termina con il
parto).
La medicalizzazione rappresenta anche uno spreco di risorse
economiche che non ci possiamo più permettere e proprio perché
parliamo di fisiologia e di persone sane, non malate, risulta molto
indovinato lo slogan del movimento Slow Medcine “Less is mor” che
si batte contro l'abuso della tecnologia, a favore
dell'appropriatezza delle pratiche sanitarie e per l'ottimizzazione
delle risorse economiche in medicina. Less in questo contesto
vuol dire promuovere la professione dell'ostetrica che in Europa
rappresenta il riferimento per la donna dall'adolescenza alla
menopausa, l'assistenza alla gravidanza e al parto, l'allattamento,
le informazioni sulla contraccezione e sull'aborto, la prevenzione
delle MTS. L'ostetrica è Less rispetto al medico ginecologo
perché è un operatore specializzato non nella patologia ma solo
nella fisiologia e nella prevenzione della patologia. More sta
per “più ostetriche” perché l'evidenza scientifica e gli studi
OMS confermano che dove è maggiore la presenza delle ostetriche
migliori sono i risultati in termini di salute per le donne e i
bambini. Questo perché l'ostetrica è la figura sanitaria esperta
della fisiologia che promuove la capacità personale nel trovare
soluzioni efficaci, aiuta la consapevolezza dei propri bisogni,
l'autodeterminazione, a stare in relazione nel rispetto
dell'autonomia della persona e ne favorisce la fiducia nelle proprie
competenze e capacità: in una parola favorisce l'empowerment.
Nel percorso nascita assistiamo non
solo allo spreco delle risorse ma anche a un aumento della mortalità
e morbosità materna e neonatale e all'inaccettabile brutalizzazione
di un evento che molte donne definiscono fondante. Le donne possono
così liberarsi finalmente da questo atteggiamento paranoico e
terroristico che la mancanza di fiducia ha determinato: mancanza di
fiducia delle donne verso se stesse e degli operatori verso il corpo
delle donne; mancanza di fiducia di tutti noi nei riguardi di una
competenza che è tutta femminile.
Faccio dunque appello a medici,
psicologi, ostetriche, ma anche a sociologi e filosofi, perché
attraverso il contributo di tutti sia possibile restituire alle donne
ciò che è stato loro tolto.
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