2 giugno 2016

Mai prima in vita usai un'immagine che descrivesse così perfettamente le parole di un testo. Eppure....

Altra immagine censurata. 

Questa volta volevo parlare dell'EPIDURALE raccontando attraverso un volto e un corpo, totalmente "abbandonato", l'inutilità di questa pratica (quando non strettamente necessaria (parentesi nella parentesi: vige un qualche obbligo di precisazione per non sembrare dei pazzi estremisti, secondo cui, sebbene oramai lo sappia anche il mio cane che essere PRO natura non significha essere ciechi e sordi a tutto il resto, bisogna sempre mettere i puntini sulle i a costo di sembrare ridondanti o peggio ancora idioti)). R-assicurare sul fatto che si può raggiungere uno "stato" simile senza alcuna interferenza esterna, mantenendo semplicemente centratura e intimo contatto con se stesse.
Non mi pareva potesse esistere immagine migliore per descrivere tutto questo e accompagnare le parole di Antonella Sagone, che in un'intervista disse:

"Questo modo di “soffrire” il parto è il prodotto di una certa cultura e di un certo approccio all’assistenza in travaglio di parto.
Tale cultura ha imposto alle donne un modello sacrificale di maternità, e l’ha relegata in una posizione totalmente passiva, di “paziente”, facendo di un evento sano e vitale un fatto medico. gente che si rivolge alla madre impegnando la neocorteccia del suo cervello (cioè le attività intellettive superiori), razionali, in un momento in cui queste dovrebbero essere silenti per consentire l’attivazione della paleocorteccia, che regola i meccanismi nervosi ed ormonali istintivi. Il dolore di parto ha anch’esso una sua funzione in questo quadro, perché fa scattare la produzione di endorfine, che sono degli analgesici naturali. Michel Odent, pioniere del parto attivo, parla inoltre di “riflesso di eiezione del feto”: un processo mediato da potenti rilasci di ormoni, come endorfine, prostaglandine e soprattutto ossitocina, che dà luogo a fasi espulsive rapide ed estremamente efficaci. La donna che partorisce in questo stato raggiunge un livello di coscienza che la fa immergere profondamente nel proprio corpo, in una condizione rilassata e concentrata insieme, sa istintivamente come respirare e muoversi nei diversi stadi del travaglio, e difficilmente finirà per partorire supina, come uno “scarafaggio rovesciato”, secondo un’efficace definizione.

Quando si consente alla natura di esprimersi secondo il suo programma innato, il dolore rientra in un quadro che è gestibile dalla donna. Ma questo la maggioranza delle donne non lo sa.

Di fatto, dopo aver defraudato milioni di donne di questa esperienza vitale, e aver trasformato il parto in un evento penoso, pericoloso, lungo, complicato, faticoso e sofferto, si rivende alla donna la soluzione sotto forma dell’ennesimo farmaco o dell’ennesima pratica chirurgica. Si impone la posizione sulla schiena che aumenta il rischio di lacerazione, e si risponde al problema proponendo una lesione preventiva, l’episiotomia; si creano distocie di travaglio e si offre ancora una volta il bisturi del cesareo come salvezza; e si promuove oggi l’epidurale come soluzione definitiva al dolore di parto, facendone addirittura una battaglia di diritto, accelerare il travaglio - che è rallentato proprio a causa dell’epidurale stessa. Come conseguenza, con questo metodo di anestesia aumentano i parti indotti, operativi (con forcipe o ventosa) e raddoppiano i cesarei.
Ma i danni dell’epidurale non si fermano al momento del parto. Vi sono ripercussioni anche sul bambino. una disorganizzazione dei riflessi fondamentali di ricerca e suzione del seno. Dopo la nascita non si mostrano attivi e non si orientano verso il capezzolo ma effettuano movimenti caotici o sono poco reattivi; discutere sul diritto della donna di non soffrire dolori intollerabili perché sono stati resi tali, e a prezzo di correre rischi come quelli collegati alla pratica dell'epidurale, dei quali peraltro la partoriente non viene quasi mai messa al corrente. massima ippocratica che ammoniva a non utilizzare l’arte medica se non quando necessario, perché in medicina “ciò che è inutile è dannoso”. 
Non si tratta di aderire a una mistica sacrificale del parto, non è una ricerca del dolore in quanto tale, come espiazione o prezzo da pagare per il bene del bambino: si tratta di un modo diverso di gestire il processo del travaglio, che rende inutili gli interventi medici perché consente l’attivazione dei meccanismi di compensazione naturale che il corpo delle donne, modellato in millenni di evoluzione naturale, possiede a servizio della vita e del benessere proprio e del bambino."



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